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ARCHITETTI
DATE BELLEZZA ALLA CITTA’
di fabio alfano
Articolo pubblicato
sul giornale La Repubblica del 1maggio 2007
Forse gli
architetti, di cui nessuno qui sa in realtà di cosa si occupano,
si dovrebbero ri-prendere il ruolo di ‘garanti’ degli
spazi di questa città e della qualità delle loro trasformazioni.
Tra consulenze tecniche per banche e tribunali, costretti, per la maggior
parte, a fare per sopravvivere o, nel migliore dei casi, tra progetti
gratuiti per parenti e amici e partecipazioni a concorsi senza esito,
si dovrebbero fare avanti, chiedendo che gli venga riconosciuta la loro
specifica sensibilità e formazione (non in verità presente
in tutti) per manifestare a pieno titolo contro l’attuale ‘fisicità’
di Palermo e proporre eventuali soluzioni. Se questo avvenisse produrrebbe
due effetti positivi. Una grande forza di pensiero critico e creativo
a servizio della città e una possibilità per la categoria
di riscattarsi da quella frustrante condizione di ‘inutilità’
in cui giace da anni per mancanza di richiesta del suo lavoro: la necessità
di spazi con qualità espressive. Una drammatica assenza a Palermo
che ha costretto gli architetti a restare in panchina e vedere giocare
una partita, la ‘loro’, a chi, senza cognizione di causa e
alcuno scrupolo, ha ab-usato dello spazio della collettività,
quello urbano.
E allora sarebbe una vera e propria ‘resurrezione’ quella
dell’Architettura a Palermo, sepolta prima dai bombardamenti, poi
dalla ricostruzione e dall’espansione selvaggia e poi, ancora peggio,
da una diffusa ‘ignoranza’ in tema di spazio e delle sue relazioni
con l’uomo; riportata in vita occasionalmente da qualche meritevole
intervento, ma prontamente ri-seppellita. Una sorta di miracolo,
pensare ed operare in termini di qualità dello spazio a Palermo,
di luoghi che rendono ‘migliore’ la vita di chi li abita,
dare risposta a ciò che, l’architetto americano Louis Kahn
chiamava "alte aspirazioni dell’uomo”, per cui l’architettura
ha motivo di esistere. Prima tra tutte l’esigenza di ‘bellezza’,
non come optional, come lusso per una élite ma
come componente essenziale della vita di tutti, in quanto ‘utile’.
Mezzo di piacere, emozioni, benessere ma soprattutto di conoscenza. Un
modo di conoscere fatto di segni, immagini, simboli, forme su cui chiunque
e a proprio modo, per le ‘sintesi’ che questi medium
producono, può trovare riflesso qualcosa che gli appartiene. E
soprattutto facendo ‘esperienza’ diretta della cosa.
Si è vero la città ha bisogno di posteggi e marciapiedi,
case, scuole e ospedali, ma anche di queste altre componenti per chi le
ricerca. La città, del resto, “non è un singolo stato
evolutivo, un singolo movimento, ma l’accumulazione di vari stati:
realtà, azioni ed esperienze simultanee” (Manuel Gausa) e
quindi come fenomeno complesso costituito da compresenze, deve cercare
di dare risposte positive a tutti coloro che vi abitano. E comunque anche
i marciapiedi e i posteggi possono essere pensati in termini di architettura.
Il messaggio lanciato nel secolo scorso da uno dei filosofi più
vicini alle questioni dell’architettura Martin Heidegger, di cui
ancora condividiamo ed esploriamo le istanze, “e’ il poetare
che, in primissimo luogo, rende l’abitare un abitare”, è
oggi, e qui, più che mai attuale. L’architettura e l’arte
poiché producono ‘poeticità’ sono un mezzo per
un vero abitare. E l’intera città può essere considerata
un fatto di arte se riconosciamo la dimensione estetica insita inevitabilmente
in tutti i suoi fenomeni.
Gli architetti, che dovrebbero ‘vedere’ dove altri ‘non
vedono’, sono gli unici, in questo momento particolare per Palermo,
che possono promuovere una cultura dello spazio, dell’architettura,
della contemporaneità che possa ri-educare la città
a queste alte aspirazioni e produrre effetti positivi nelle auspicate
‘illuminate’ amministrazioni.
E a chi obietta dicendo che a Palermo prima di pre-occuparsi
di bellezza ci sono altri problemi da risolvere, sociali, morali, etici,
di giustizia, sicurezza, si può semplicemente dire di non tenere
separati il buono, il giusto, il bello e il
vero perché, come ci hanno insegnato i greci, in ognuno
di essi sono contenuti gli altri.
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