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LA RIVOLUZIONE DEL BELLO PARTENDO DAI CITTADINI
di fabio alfano

su la repubblica palermo del 6 luglio 2008

Il tema della bellezza torna oggi alla ribalta, protagonista indiscusso, per esempio, dei testi e incontri alla fiera del libro di Torino, di una grande mostra a Mantova - "La forza del bello" - che, con l'arte greca in Italia rievoca la visione di una civiltà in cui estetica ed etica sono un tutt'uno. Allo stesso tempo assistiamo ora ad una progressiva e continua denuncia sul molteplice brutto che ci circonda, e non solo fisicamente. Anche qui, articoli, siti, convegni sul territorio e i suoi scempi, denunce di eco mostri, abusi, opere incomplete (esempio durante il recente Città e territorio Festival di Ferrara), e poi: Comitati per la bellezza, un nuovo Codice del paesaggio (dell'ex ministro Rutelli), le Storie della bellezza e della bruttezza di Umberto Eco, la proposta del ministro Bondi di una legge contro la brutta architettura nelle città. Perché si parla tanto di architettura, in positivo o negativo, per incentivarla laddove manca, per farne ancora marketing laddove è in uso, per criticarne alcuni aspetti (archistars, architettura senza l'uomo, vedi il libro "Contro l'architettura" di La Cecla) o addirittura per pensare, ingenuamente, di demolirla (Ara Pacis a Roma)? Perché si viaggia per centinaia di chilometri e ci si sottopone a code interminabili per ammirare una scultura (il Satiro di Mazzara), un quadro (L'ultima cena di Leonardo), una mostra, o gli edifici che li contengono. Perché un'architettura cambia il senso e il valore di una città (Museo Guggenheim a Bilbao)? Perché tutto questo avviene, anche e soprattutto, in Italia, paese del bello (dimenticato) e dunque anche a Palermo? Cerchiamo di stabilire cosa è questo “bello” di nuovo invocato.
Alla domanda si può dare immediata risposta se si mettono da parte definizioni teoriche e trattati e ci si riferisce unicamente all'esperienza diretta e personale. Ognuno di noi, è inconfutabile, definisce bello ciò che sostanzialmente a livello estetico gli piace (e il fatto che ciò che ci aggrada non esaurisce il concetto di bello, ai fini di questo specifico ragionamento, poco importa). E ciò "che ci piace" in generale è qualcosa che ci fa stare meglio che in sua assenza. In uno spazio che riteniamo bello, lo abbiamo sperimentato tutti, siamo a nostro agio, tendiamo a rimanerci, da uno considerato brutto fuggiamo, o, se siamo costretti a starci, non vediamo l'ora di abbandonarlo. In uno spazio bello ci sentiamo più felici, in uno brutto più tristi, anche se non ce ne accorgiamo. Tanti studi ci dimostrano infatti che uno spazio "che ci piace", migliora sensibilmente il nostro stato psicofisico, ottimizzando tutte le nostre attività e producendo in generale un benessere che si riflette positivamente fino alle nostre cellule. Il bello che guarisce. Parallelamente le stesse o altre ricerche rivelano che uno spazio brutto, degradato, senza identità, comunque a noi ostile, influisce negativamente sulla psiche (demotivazione, depressione), sul corpo (malattie somatiche) e quindi sui comportamenti personali e sociali impregnandoli di quei connotati che il brutto porta con sé: assenza di ordine, disvalore, disarmonia, squilibrio. Il brutto, per esempio, delle case popolari di Scampia a Napoli, ben documentato nel recente film Gomorra, è certa concausa dei comportamenti alienati di chi le abita.
Bello, quindi, è uno specifico stato delle cose, generato da precise condizioni, che determina situazioni favorevoli a chi le sa apprezzare. Ciò significa che se organizziamo il mondo attorno a noi in un certo modo otteniamo dei vantaggi e soprattutto ci evitiamo problemi assai dannosi per la nostra persona.
Ma se il bello avvantaggia, migliora, produce benefici, e se la qualità è un valore da ricercare, non possiamo non affermare che la bellezza è utile, che serve concretamente a qualcosa. Non è, come avevano forse pensato finora, un optional rinvenibile in musei, monumenti o chiese, ma parte integrata della vita stessa.
Se prendiamo poi in considerazione anche la dimensione oggettiva del bello, non soltanto quindi ciò che incontra soggettivamente il nostro gusto ma tutto ciò dotato, per qualità di rapporti, ordine, equilibrio, armonia, di un altissimo e indiscutibile livello comunicativo, arriviamo alla stessa deduzione. Il bello anche in questo caso svolge un ruolo importante perché, apprezzato o non a livello della personalità, è comunque in qualche modo da noi 'avvertito', anche come negazione, e pertanto ci costringe a fare i conti con esso. L'oggettivamente bello - non ci interroghiamo in questa sede su ciò che lo rende tale - è, in qualsiasi modo esso si manifesti, una esperienza di conoscenza di uno stato 'alto' delle cose, che riguarda anche noi singolarmente: un potenziale modo di essere che può essere da noi riconosciuto ed espresso. Questa forma di bello ci educa, e duce, porta fuori una parte positiva di noi, e per questa ragione è utile. La polis vissuta, descritta, immaginata dai filosofi greci è un luogo che, con le sue forme ordinate, proporzionate, simmetriche a principi di natura e ideali divini, con un senso dello spazio collettivo quale massimo bene comune, con una abitudine e una assuefazione dei cittadini ad una estetica che informa persino le leggi fondandole su ritmi musicali, induce i suoi abitanti a tirar fuori il buono, il bello, il giusto e il vero e a viverli quali principi 'normali' di relazione tra individui e con le cose. Il kosmos, la bellezza per i greci, ha decisamente una ophelia, una utilità politica, pubblica e individuale. Ma ce l'hanno anche tante parti di città contemporanee che, per l'alta qualità raggiunta, riescono a farci sperimentare, seppur in modo frammentato e temporaneo, una dimensione abitativa decisamente positività in termini di etica ed estetica.
Comunque lo affrontiamo allora, il bello risulta essere utile: una grandissima opportunità per qualificare il nostro essere al mondo, direzionarlo e, forse, dargli anche un senso. Una opportunità a livello collettivo ma anche individuale. Da scegliere però. E gli eventi e fenomeni descritti all'inizio non sono forse un primo grande passo in direzione di questa bellezza necessaria?