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I COMITATI
DEI CITTADINI CAMBIANO IL VOLTO DI PALERMO
di fabio alfano
su la repubblica
palermo del 24 maggio 2008
Cambiare significa
essere consapevoli di ciò che non va, certezza di poter raggiungere
uno stato diverso e migliore, volontà e azione per ottenere il
cambiamento. A Palermo, oggi, la consapevolezza sull'inaccettabilità
della città a tutti i suoi livelli non manca, il pessimismo imperante
è soppiantato dall'esasperazione e dal volere a tutti i costi qualcosa
di migliore, volontà e azione trovano finalmente prima espressione
nelle iniziative che i cittadini, singolarmente, in gruppo, in associazioni
o comitati, promuovono quotidianamente. Questo processo è attivo
anche per quanto riguarda gli spazi fisici della città che cominciano
a beneficiare di una presa di coscienza che chiede normalità e
qualità per essi: opposizioni massicce a progetti inidonei promossi
dal Comune quali ipermercati e iper-parcheggi (comitato viale Campania),
richieste di pedonalizzazione e qualificazione di alcune aree (via Maqueda,
la borgata Arenella, strade antistanti scuole), proposte di riconfigurazione
di altre (comitato No alle cabine di Mondello, No al muro circonvallazione),
coalizioni contro la chiusura di musei, l'uso improprio della Villa a
mare, campagne contro il brutto, e così via. Queste azioni, oltre
ad essere utili alla causa in questione, si evidenziano quali esempi dell'unica
strada oggi percorribile per ottenere una concreta trasformazione degli
spazi di Palermo. Se tanti cittadini, risvegliati o unicamente esasperati,
protestano, partecipano, propongono, si coordinano, vigilano, operano,
pretendono che siano rispettati i propri diritti, e si impegnano ad assolvere
i propri doveri, qualcosa può accadere, anche di importante.
Queste operazioni dal basso vanno dunque incrementate. E le azioni che
i cittadini possono compiere sono tante, sia per far si che chi ne ha
il ruolo avvii piani, progetti, concorsi, espropriazioni, demolizioni,
realizzazioni, sia per modificare in prima persona gli spazi privati (la
maggior parte del tessuto urbano) e pubblici,.
Una città si trasforma dal generale verso il particolare ma anche
dalle singole parti verso la sua totalità. Come in una sorta di
allenamento, si comincia ad esprimere un'esigenza di bellezza in casa
propria, in spazi gestibili in tutta autonomia, per verificare se il bello
lo si vuole davvero. E una volta compreso che la qualità dello
spazio è una condizione indispensabile, bisogna aprire la porta
e prendersi cura dei primi spazi condivisi: il pianerottolo, l'androne
di ingresso, il cortile interno, il giardino se esiste, e soprattutto
le parti comuni che si interfacciano con lo spazio urbano quali porticati,
intercapedini, muri di confine, prospetti. Cercando soluzioni che oltre
a qualificare la 'proprietà individuale' mostrino attenzione per
la 'proprietà comune': la città. E cultura urbana si può
esprimere sia ripensando l'estetica del proprio edificio (nuovi materiali
di rivestimento, nuovi colori, riprogettazioni di parti), in occasione
di un intervento di manutenzione straordinaria o per la questione del
risparmio energetico, ma anche con la semplice regolamentazione di vetrine
e insegne, pompe di calore, tende, antenne, serbatoi o ogni altra cosa
che se ordinata da una progettualità crea bellezza a discapito
del caos. Per i meno zelanti, cultura della città potrebbe essere
anche l'azione, non meno significativa, di togliere le locandine appese
illecitamente sui muri (perseguibili quindi per legge) e adoperarsi affinché
queste come manifesti abusivi, scritte spray o altro non violino più
il diritto di non volere imbrattata casa propria; oppure sostituire il
vaso rotto o la pianta secca davanti il proprio portone o negozio con
la consapevolezza che un vaso rotto è un vaso rotto, ma migliaia
di vasi rotti e piante secche sono uno scenario desolante. E' chiaro che
un significativo re-styling della proprietà privata necessita
di incentivi e agevolazioni e che ciò che vige al momento non incoraggia
certo i cittadini ad affrontare manutenzioni o ristrutturazioni impegnative
economicamente se non obbligati da alti gradi di fatiscenza della costruzione.
Ma ciò che non c'è adesso non significa che non possa esserci
domani. Dovremmo però cominciare a chiederlo, tutti insieme, alle
amministrazioni locali, e con determinazione.
Altra cosa possibile per il cittadino, abbiamo detto, è intervenire
sulla proprietà pubblica (che, ricordiamo, è anche sua)
a partire da quella vicina alla propria abitazione: marciapiede, suolo
stradale, illuminazione. Rilevandone la natura, lo stato di manutenzione,
il funzionamento, la pulizia, annotando ciò che manca perché
non c'è mai stato o perché non vi è più (alberi,
cestini), e infine alzando il telefono (Amia, Amg, Ville e Giardini, Ufficio
Relazioni con il Pubblico del Comune) per segnalare quanto osservato.
Ovviamente la possibilità di ottenere adeguati interventi, superando
dinieghi e rinvii per "mancanza di fondi" o "non competenza"
o altre motivazioni o scuse, aumenta esponenzialmente se le azioni si
coordinano. La creazione di un comitato per ogni strada o per aree più
vaste, come già sta avvenendo, o di un supercondominio con un rappresentante
per edificio che lo costituisce, sono strumenti efficaci per pretendere
risposte positive in una città le cui possibilità economiche
(entrate) e il numeroso personale a disposizione delle Amministrazioni,
rendono ingiustificabile e intollerabile ogni disfunzione e inadempienza.
Come cambierebbe una strada se non ci fossero buche e marciapiedi rotti,
fognature maleodoranti e sporcizia ovunque, con un albero ogni 10 metri,
aiuole installate dal comune e gestite dai vari condomini, pavimentazioni
colorate e altri incisivi elementi di arredo quali panchine, pensiline,
ecc. e, perché no, delle installazioni artistiche? E' utopia questa
o irrinunciabile possibilità?
Il cittadino più attivo poi potrebbe estendere il proprio interessamento
all'intera area dove vive sia per identificare le più generali
problematiche urbane e proporre soluzioni, sia per prendersi a cuore quella
minuta porzione di suolo, privata, pubblica o non si sa di chi, abbandonata
da sempre, che con una sistemazione minima diverrebbe più piacevole
allo sguardo e utile per qualcosa: sostare, passeggiare, giocare. Qui,
come in altri interventi suggeriti, sarebbe auspicabile il coinvolgimento
di uno dei cinquemila architetti per la maggior parte in stand by
in questa città, magari quello che abita in zona, e di uno dei
centoventi all'incirca consiglieri di circoscrizione che, benché
senza potere, potrebbe comunque svolgere il suo ruolo di intermediazione
specialmente in presenza di aree pubbliche. L'optimum infine
sarebbe se il cittadino si adoperasse per la trasformazione di tutte le
aree della città che necessitano di interventi anche complessi
a causa del loro alto grado di fatiscenza, bruttezza, mancanza di identità.
Emergerebbero così dal basso quei tasselli grandi su cui fondare
la necessaria metamorfosi di Palermo. E la cittadinanza non consentirebbe
più (anche con il proprio voto) la grave assenza di piani e interventi
di riqualificazione e sviluppo efficaci che dall'alto riconfigurano anche
il marciapiede di ogni abitazione.
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