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IL BRUTTO CITTADINO FABBRICA DI DISAGIO
di fabio alfano

su la repubblica palermo del 7giugno 2007

Siamo coscienti a Palermo di essere sommersi dal brutto (senza nulla togliere al bello comunque presente)? Di svolgere gran parte delle nostre attività all’interno di spazi e luoghi che non possono essere definiti altro che brutti? Ne siamo consapevoli o siamo talmente assuefatti a questo ‘stato delle cose’ da non accorgerci più dell’enorme quantità di edifici, piazze, strade, situazioni urbane dequalificate che costituisce grande parte di questa città, sia di recente formazione sia storica, e che ‘opprime’ quotidianamente la nostra vita? Sono brutti gli spazi abbandonati, quelli degradati o deturpati, sono brutti gli spazi mal-fatti, senza qualità e soprattutto senza architettura, sono brutti gli spazi che ambiscono all’architettura senza esserne capaci in quanto volgari, sono brutti i luoghi dove prevale la banalità, è brutto tutto ciò che si percepisce come assenza, perché mai realizzato benché desiderato, in quanto crea frustrazione, delusione, rabbia.
Ma soprattutto siamo consapevoli degli effetti negativi che questa massa crescente di ‘brutto urbano’, subito giornalmente, genera su di noi. Se lo spazio è ‘energia’ quello brutto è ovviamente energia alle più basse frequenze, energia che veicola degrado, abbandono, disarmonia. Vibrazioni quindi non tra le più belle che, anche se non percepite consciamente, lavorano alacremente fuori e dentro di noi, creando forti ‘disagi’ (e molti autorevoli studi scientifici, psicologici, sociologici, ecc. affermano ciò, quale quello appena presentato dai sociologi della Cattolica di Milano sulle 10 periferie più ‘disagiate’ di Italia, tra cui Palermo).
Non ultimo, tra i disagi, il rimandarci costantemente una immagine lacerante della città che rafforza la pessimistica idea di gran parte dei palermitani che le cose così sono, prive di ordine e bellezza, e così rimarranno perché qui “così è”, e la città con la sua fisicità lo afferma inequivocabilmente. Brutta la città, allora, brutta la società e viceversa.
Siamo allora dentro a un circolo vizioso: il palermitano, privo (o de-privato) di principi e valori positivi (e sicuramente inconsapevole) continua a generare spazi del ‘brutto’; lo spazio brutto crea e rafforza parte dei ‘convincimenti’ del palermitano. Come ne usciamo?
Solo comprendendo di essere ‘prigionieri’ di questo processo e interrompendolo con un atto di volontà che da qualche parte deve pur iniziare. E poiché i reali e duraturi cambiamenti avvengono sempre prima ‘dentro’ e poi ‘fuori’, bisogna iniziare dalla coscienza del singolo cittadino. Se ognuno di noi si accorge di stare subendo una situazione assolutamente non vantaggiosa per se stesso (anzi), e, per non farsi un torto, decide di cambiarla, si renderà parte attiva, per quanto gli compete, del cessare di questa situazione. Cioè se il palermitano, i palermitani comprendono che vivere nel ‘non brutto’ è per loro una esigenza primaria (o quantomeno una convenienza) si attiverà automaticamente una forza che spingerà decisa laddove occorre per eliminare l’’indesiderato’.
Come? Attraverso una “metamorfosi del brutto” (per citare lo studioso di estetica Remo Bodei). Una trasformazione possibile in virtù di una semplice verità: il brutto e il bello esistono ognuno in funzione dell’altro, l’uno che si manifesta richiama inevitabilmente l’altro (e tanta estetica filosofica si è spesa su questo). E’ possibile arrivare al bello invertendo i valori che determinano il brutto in quanto, paradossalmente, il primo è contenuto nel secondo (Lucifero è l’angelo più bello che mettendosi in competizione con Dio diventa il re delle tenebre).
E questo è facile comprenderlo se pensiamo ad uno spazio urbano di qualità diventato brutto per incuria e abbandono; il suo ripristino lo riporta alla sua originaria qualità certamente ‘mai’ perduta. E fino a qui siamo nelle riconosciute (a Palermo forse no) possibilità del progetto di architettura.
Un po’ più difficile (ma non troppo) invece il ragionamento che ci consente di intra-vedere bellezza in ciò che non la ha mai avuta. Occorre una forte dose di immaginazione per rintracciare possibili principi di ordine dentro il caos che connota una situazione di ‘brutto’.
Ogni cosa ha una sua dimensione estetica, pregna o priva però di ‘espressività’, la capacità cioè di suscitare sensazioni ed emozioni. Anche gli spazi brutti hanno una loro estetica e un potenziale emozionale non controllati però dai dettami dell’architettura (la disciplina che regola lo spazio). Occorre qualcosa o qualcuno che con sapienza faccia avvenire una trasfigurazione. E a questo processo abbiamo assistito infinite volte.
Non c’è tutta una arte, prodotta nei secoli, che ha fatto proprio del brutto
l’oggetto della sua ricerca espressiva svelandone la grande potenzialità poetica? Il ‘sublime’ ricercato dai pittori del ‘700 nelle scene di rovine e distruzione, le mostruosità e le patologie individuali e sociali della letteratura dell’’800, le dissonanze e le deformazioni del moderno (Munch, l’espressionismo, Guernica di Picasso,…), il ‘perturbante’ di Freud, gli edifici abbandonati trasformati in installazioni urbane dall’artista americano Matta-Clark, il ‘realismo’ delle periferie degradate di Pasolini, Wenders (di cui attendiamo con estremo interesse l’annunciato film su Palermo), dei conterranei Ciprì e Maresco, del fotografo Gabriele Basilico, non sono forse una ‘lettura’ del banale, del volgare, del brutto in direzione della possibilità di creare forme ‘significative’ ?
Ancora, senza scomodare l’arte, che potrebbe sembrare portarci ‘lontano’, non abbiamo assistito tutti noi almeno una volta ad un processo di trasformazione di uno spazio che non ci piaceva, fosse almeno quello della nostra casa, che anche con semplici atti ha invertito la ‘direzione’ della sua qualità estetica? Senza dire che possiamo contare sull’esempio di tantissime città italiane e straniere che hanno saputo trasformare intere parti urbane degradate in luoghi di grande eccellenza per l’abitare. Un esempio per tutti, in Italia, il quartiere Ostiense a Roma (non a caso oggetto di attenzione, nei suoi film, del regista Ozpetek) che da luogo di vuoti e fatiscenza sta diventando sempre più un sistema riconoscibile di spazi di cultura e creatività (e ciò non solo perché Roma è una capitale).
Non illudendoci minimamente su una totale scomparsa del brutto, utopia forse neanche vantaggiosa per l’utilità che questo ha nella manifestazione del suo opposto, possiamo affermare però che la trasformazione del brutto è azione possibile, è esercizio di ‘messa in ordine’ delle cose, di ricerca di nuove relazioni (anche imprevedibili), di integrazione tra ciò che c’è, e non funziona, e un ‘nuovo’ che, oltre a funzionare di per sé, deve anche risolvere il contesto con cui si confronta. Aggiungere, quindi, togliere, completare, esaltare, nascondere immettere segni significativi; un lavoro compositivo-progettuale per dare morphos a una città, in gran parte, senza forma.
E dove c’è stato il troppo brutto (e a Palermo abbiamo assistito ad un vero e proprio ‘teatro delle assurdità’) è possibile che ci sia il troppo bello, del resto questa è una terra dove la polarità si è sempre manifestata al massimo in tutti e due i suoi estremi.
E’ chiaro che a questa esigenza devono rispondere concretamente e seriamente le amministrazioni che costituiscono chi mette praticamente in atto i processi trasformativi della città, e su questo staremo ad attendere. Ma molto può essere fatto dai privati, anche in occasione di un ripensamento degli edifici in relazione alla sostenibilità ambientale (le città francesi per esempio si stanno muovendo in questa direzione).
Intanto il palermitano deve chiedersi se questo bello lo vuole veramente, e quindi trascendere la visione ‘negativa’ che la realtà presente percepita in modo statico ‘giustamente’ gli rimanda e optare per una visione dinamica che ‘cambia’ le cose. Per far questo deve ri-appropriarsi, però, dell’architettura. Il film di Sidney Pollack “Frank Gehry creatore di sogni”, recentemente uscito a Palermo, e passato senza lasciare troppo il segno, è stato, per esempio, una utile occasione, a disposizione di tutti, per ricordarci delle grandi possibilità trasformative di questa antica e oggi più che mai attuale disciplina. E intanto che aspettiamo la concretizzazione di questa utopia per Palermo per favore di brutto non generiamone altro.