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FABIO ALFANO
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PERCHE’ PALERMO RIFIUTA LA QUALITA’
di fabio alfano

su la repubblica palermo del 9 marzo 2007


Magari fossero stati tutti veri i contenuti dei numerosi banners che hanno riempito la città in questi mesi. Avremmo tutti coronato un sogno, quello di vedere la nostra ‘amata’ Palermo finalmente ‘risvegliata’ dal brutto incantesimo che la tiene da decenni paralizzata.
Purtroppo così non è. Palermo ancora dorme, ed è un sonno di sofferenza: la città è ‘sottogiri’, lavora al di sotto delle sue potenzialità, con una offerta bassissima, come qualità di vita, nei confronti di chi ci vive, la utilizza per lavoro o altro o per chi la viene semplicemente a visitare.
Palermo al momento non raggiunge quelli che potremmo definire i minimi standard per assicurare un abitare ‘decente’ e tanti studi, sondaggi e classifiche hanno attestato ciò. Ma ancor di più lo dimostra la nostra esperienza quotidiana: manca molto a livello di infrastrutture, servizi, spazi verde, non ci si muove bene, il tasso di inquinamento è alto,… degrado urbano (e umano) quasi ovunque, sia nelle parti antiche, non ancora recuperate e integrate ad uso moderno della città, che in quelle più recenti fatte di sola e angosciante edilizia. Non parliamo poi di quei connotati che fanno di una città un luogo del ‘buon vivere’ (e abbiamo tanti esempi di città da guardare), questi sono totalmente assenti. E’ come se Palermo non avesse un’esigenza di qualità e di ciò che la determina: funzionalità degli spazi, ricerca di bellezza ma soprattutto espressione di contemporaneità. L’architettura di questo tempo, infatti, in termini di nuovi edifici, piazze, strade, re-interpretazione in generale dell’esistente, fatto culturale, è una illustre sconosciuta, qualcosa che non sembra appartenere a questi luoghi.
Palermo non è una città competitiva in un panorama internazionale e pertanto non stimola a venire e soprattutto a rimanere.
Eppure la nostra città sembrerebbe avere le carte in regola per essere un luogo dell’’ottimo vivere’, e questo è stato dimostrato nei secoli di storia che l’hanno vista città internazionale, luogo di ricerca, cultura, valori, architettura, arte,… Perché prima si e ora no? Qual è il problema? Perché la città da anni non si attiva, produce, si esprime, si mostra per quello che veramente è? Perché al contrario rinuncia soltanto, si priva di ciò che le tocca di diritto passiva ad uno sfruttamento costante?
Abbiamo consapevolezza che stiamo rinunciando? Abbiamo coscienza dei molteplici benefici che avremmo se la città funzionasse in piena regola? Sappiamo che gli spazi di una città possono ostacolare o agevolare l’espressione e la realizzazione di chi la abita, possono renderlo partecipe o non della identità del tempo presente? Probabilmente no, perché se ne avessimo coscienza non sceglieremmo di rinunciare.
E allora il passo da fare in questo momento è ‘aprire gli occhi’, comprendere, osservare le altre città, indignarsi, attivarsi, chiedere, vigilare, criticare, scegliere bene,… e soprattutto uscire dalla falsa illusione che il problema non ci riguarda in prima persona o che comunque non possiamo fare nulla in quanto “è colpa di qualcun altro”. Non è così, il cambiamento della città è innanzitutto un cambiamento del singolo nel suo modo di ‘sentire’ e quindi di volere le cose.
Certo è che di sollecitazioni (per il buon operato) e provocazioni (per il cattivo o la mancanza di operato) ne abbiamo avute in questi anni con le ultime amministrazioni, azioni fatte o non fatte che comunque ci hanno evidenziato concretamente ciò che Palermo ancora non è ma che potrebbe essere. Azioni che, nel bene e nel male, hanno scosso la coscienza, il torpore dei palermitani.
Siamo però ancora lontanissimi per quantità e qualità da ciò che è la reale esigenza di una città che necessita di attenzione, dedizione, continuità, coinvolgimento di tutti gli operatori (amministratori, studiosi, professionisti, amatori,..) per lo sviluppo di un progetto culturale e quindi di un piano di trasformazione che non può solo ruotare intorno al sindaco di turno.